Il tema del rispetto dell’ambiente al centro dell’intervento dell’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, pubblicato sul quotidiano Il Sole 24 Ore. Ve lo proponiamo nella versione integrale.

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Se da sempre il rapporto con la natura o ambiente o creato o cosmo o mondo (non ci soffermiamo ora a chiarire le diverse impostazioni culturali dietro questi termini) ha interrogato la vita dell’uomo e lo ha messo al lavoro, nelle società plurali, nell’era del più accelerato sviluppo scientifico, esso ha acquisito un’inedita centralità. Le calamità naturali in questo inizio di millennio ci hanno forse destato da un certo delirio di onnipotenza con cui nei decenni precedenti avevamo vissuto il rapporto con l’ambiente.

Le non poche calamità naturali con cui ci si siamo dovuti misurare anche in questo inizio del terzo millennio, con le loro rovinose conseguenze, ci hanno forse destato da un certo delirio di onnipotenza con cui nei decenni precedenti avevamo vissuto anche il nostro rapporto con l’ambiente. San Giovanni Paolo II, nella Centesimus annus parla, in proposito, senza mezzi termini, di “errore antropologico”, stigmatizzando la dimenticanza della originaria donazione all’uomo del cosmo da parte di Dio e i comportamenti di asservimento, rapina e sfruttamento dell’ambiente, effetti di tale dimenticanza.

Oggi, finalmente, il trend sembra essersi invertito ed incominciano a diffondersi su larga scala, nei singoli e nelle società, comportamenti virtuosi (un esempio banale ma indicativo: il diffondersi del riciclo dei rifiuti nelle città del consumo e dello spreco).

Il comando biblico di custodire e coltivare (la “cura” non è puramente difensiva, di mantenimento, ma creativa, generativa), che i nostri padri contadini hanno seguito per secoli, sembra tornato attuale. In non pochi contesti sociali si assiste, e in forma crescente, ad uno scatto di responsabilità nei confronti dell’ambiente.

Tuttavia, non di rado affiorano modalità pratiche selettive che non possono lasciarci indifferenti. Basti citare un esempio. Senza nulla togliere al rispetto dovuto agli animali e alla loro compagnia, ad ogni essere vivente e all’ambiente in quanto tale, le società opulente del Nord Ovest del pianeta sopportano, nella stessa città, gravi sacche di miseria, famiglie che faticano ad arrivare a fine mese e nello stesso tempo spendono per la cura dei sempre più numerosi animali una buona fetta del bilancio familiare..!

Comunque, se da un lato non si può non parlare, e con soddisfazione, di uno scatto di responsabilità, dall’altro non si possono ignorare le domande fondamentali sul significato e sui criteri di tale responsabilità: che cosa significa essere responsabili dell’ambiente? Come si può adempiere un tale compito? È un problema di quantità o di qualità? Quali leggi per garantirlo e, soprattutto, quale educazione?
Expo 2015, che il 1° maggio aprirà i suoi battenti nella nostra città, rappresenta un’occasione privilegiata per tentar di rispondere a questi interrogativi.

Nel percorso di quest’anno ho intenzione di affrontare con voi queste ed altre questioni ad esse collegate.
Oggi, per cominciare, vorrei semplicemente soffermarmi su un dato che, dal Beato Paolo VI a Papa Francesco, ha caratterizzato l’insegnamento della Chiesa in materia di ambiente. Tutti i Papi, dalla metà del secolo scorso in poi, quando il problema della tutela dell’ambiente è diventato scottante, hanno parlato di ecologia umana, dedicandovi un’approfondita riflessione anche in documenti di peso come le Encicliche: oltre alla già citata Centesimus annus di Giovanni Paolo II, la Caritas in veritate di Benedetto XVI e l’Esortazione Evangelii gaudium di Francesco. Perché?

Già l’etimo della parola eco-logia ci riserva qualche sorpresa, rispetto alla vulgata corrente. Questa infatti ci ha abituato alla traduzione “discorso (o sapere) sull’ambiente”, ma il greco oikos significa anzitutto casa, dimora. E la parola casa, rispetto alla più neutra ambiente (ciò che sta intorno, participio presente del latino amb-ire), mette inequivocabilmente in campo l’uomo. La casa è la dimora dell’uomo e per l’uomo. E dell’uomo come essere-in-relazione.

Perciò, dall’origine, l’espressione “ecologia umana” dice la solidarietà tra uomini che popolano i vari mondi geopolitici e, ancor prima, quella tra padri, figli e nipoti. Inoltre un ambiente dissestato è normalmente espressione di un uomo dissestato, perciò non si possono educare i giovani a rispettare l’ambiente (bisogna dare atto alla scuola di aver fatto passi notevoli in questo senso), senza aiutarli a rispettare se stessi e le proprie relazioni costitutive. L’uomo del terzo millennio non può ridursi al suo proprio esperimento. In termini sempre più acuti la domanda di senso (significato, direzione di cammino) lo ferisce. Su quale figura di uomo “scommettere” per assumere in prima persona la geniale e sempre attuale affermazione di Pascal che «l’uomo supera infinitamente l’uomo?» (Pensieri, 131). Che pensa, che dice l’uomo post-moderno, come affronta la questione degli affetti, del lavoro, del riposo, del male fisico, della morte, del male morale, dell’educazione, dell’edificazione di una società giusta?

La questione dell’ambiente non si può separare da quelle che ogni giorno toccano la carne della persona-in-relazione continua con l’ambiente stesso. Non esiste ecologia adeguata che non domandi l’ecologia umana.